Africo (Africu in dialetto reggino) è un comune italiano di 2 706 abitanti della Città Metropolitana di Reggio Calabria.
Origini del nome
Il suo nome ha origini greche, άπριχος (aprichos), che starebbe a significare un luogo luminoso ed esposto al sole.
Informazioni:
Sito istituzionale:
www.comune.africo.rc.it
Il Territorio
Il comune di Africo ha la caratteristica di essere diviso in due porzioni a notevole distanza l’una dall’altra. La prima delle due è una piccola enclave nel comune di Bianco, la seconda invece si trova sulle pendici dell’Aspromonte, ove rimangono i ruderi dei borghi di Africo Vecchio e Casalnuovo.
Il paese nuovo sorge a pochi metri sul livello del mare, a margine di una piccola pianura affacciata sul Mar Ionio, chiusa a sud da Capo Bruzzano, sulla riva destra della fiumara Laverde, che proprio qui sfocia a mare. Africo Vecchio invece sorge sul versante sinistro del vallone Casalnuovo, nella parte sud-orientale del Parco Nazionale dell’Aspromonte; sul versante opposto invece sorge, su una rupe, Casalnuovo.
La Storia
Africo Vecchio
Fondato nel IX secolo a.C. dagli abitanti dell’antica Delia, colonia locrese situata alla foce della fiumara San Pasquale.
È stata avanzata l’ipotesi che nel luogo siano esistiti insediamenti in epoca precedente o contemporanea alla colonizzazione magnogreca; esistono comunque reperti archeologici di epoca bizantina. Probabilmente già nel decimo secolo erano presenti monaci basiliani. In epoca normanna, fra i secoli XI e XII, visse San Leo, il patrono del paese; secondo la tradizione, egli nacque a Bova e prima di diventare monaco studiò nel convento basiliano della SS. Annunziata di Africo.
Le prime fonti certe risalgono, comunque, al 1172, a una citazione della festa del santo, e al 1571, quando Gabriele Barrio scrisse che ad Africo i riti sacri erano celebrati in greco e che la popolazione adoperava il greco e il latino. Nel corso dei secoli, il paese fu associato al Casale di Bova e, dopo la fine del feudalesimo, divenne comune autonomo, vedendosi assegnata anche la frazione di Casalnuovo. Nel 1783 vi fu un terribile terremoto che causò morti e disastri, segnando la sorte nefasta a cui era destinato il paese.
Il consolidamento del territorio, predisposto dallo stato italiano nel 1930, nulla potè di fronte alla distruzione posta in essere dall’alluvione del 1951. Infatti, il 18 ottobre di quell’anno, l’antico borgo di Africo e la frazione di Casalnuovo vennero travolte da un fiume di detriti di fango; tutto quello che aveva resistito per secoli fu cancellato dalla forza della natura, non ultimi i numerosi terremoti che hanno segnato la storia di tutta la Calabria.
Su ordine delle autorità i due paesi semidistrutti furono evacuati; la popolazione fu alloggiata per pochi giorni nelle scuole elementari di Bova per poi, alla fine di ottobre, essere trasferita a Gambarie e da lì provvisoriamente distribuita in vari altri comuni della provincia (fra i quali Reggio Calabria, Bova Marina e Palmi; in particolare gli abitanti di Casalnuovo, i quali erano rimasti più a lungo nel loro abitato originario, dopo l’ordine di sgombero furono provvisoriamente alloggiati a Bova Marina e a Bova). Più di mille persone furono allocate in baracche di legno a Reggio Calabria, in contrada Lazzaretto di Condera, dove in gran parte rimasero fino ai primi anni sessanta. Tutti i rifugiati ricevettero per qualche tempo un sussidio.
Africo Nuovo
Non è chiaro chi sia stato ad avanzare per primo l’idea di trasferire definitivamente la popolazione dei due paesi in un nuovo centro da costruire in località La Quercia di Capo Bruzzano, nel territorio del Comune di Bianco; tale progetto ebbe fin dall’inizio il sostegno del deputato comunista Eugenio Musolino e di alcune autorità di Africo. Il parroco di Africo, Don Giovanni Stilo, fu inizialmente contrario, ma in seguito diede anch’egli la propria adesione. Per risolvere il problema della sussistenza dei profughi nel nuovo abitato Musolino proponeva di espropriare il latifondo che all’epoca esisteva fra Bianco e Brancaleone , dove sarebbe sorto il nuovo paese, e di distribuirlo alla popolazione che sarebbe andata ad abitarvi.
La decisione di trasferire la popolazione di Africo e Casalnuovo nella sua attuale sede presenta aspetti poco chiari; fin dall’inizio furono formulati seri dubbi circa l’opportunità di tale progetto; in particolare si opposero l’Associazione Nazionale per gli interessi del mezzogiorno e Umberto Zanotti Bianco, il quale fece osservare come gli abitanti (in prevalenza contadini), con il trasferimento, sarebbero stati spossessati della loro terra, trasferiti in un territorio carente di risorse, e sarebbero state in tal modo distrutte le basi di una vita comunitaria che gli abitanti si erano faticosamente costruiti nell’arco di molte generazioni:
«La burocrazia non ha il diritto di annullare con un tratto di penna questo lavoro secolare, con lo spedire quelle turbe disgraziate là ove la terra è posseduta da altri.» (Umberto Zanotti Bianco)
Zanotti Bianco, d’accordo con una parte dei rifugiati, proponeva di costruire il nuovo insediamento in località Carruso, una zona pianeggiante situata nel vecchio territorio di Africo; tuttavia già nel 1953 cominciarono ad essere installati, nella suddetta località La Quercia del comune di Bianco, alcuni prefabbricati donati dalla Croce Rossa svedese, creando così una sorta di fatto compiuto; a questi primi insediamenti provvisori fece seguito la costruzione di altri 88 appartamenti nel 1954. Le obiezioni, avanzate da Zanotti Bianco e da una parte della stessa popolazione di Africo, rimasero così sostanzialmente inascoltate; nel 1958 Antonio Marando poté scrivere che con la fondazione di Africo Nuovo era sorto «il primo paese italiano senza territorio».
I primi abitanti di Africo Nuovo dovettero subito confrontarsi con una realtà economica assai difficile: la raccolta della legna e delle olive, il lavoro come affittuari di fondi agricoli o come braccianti nelle coltivazioni di gelsomino, l’apertura nel paese delle prime botteghe e dei primi negozi, poi il lavoro come operai presso l’Ente pubblico per la riforestazione, non riuscirono a risolvere in modo adeguato il problema della sussistenza materiale, cui molti ovviarono con l’emigrazione, mentre altri si ridussero a vivere di assistenza. Non fu senza aspre lotte che gli africesi riuscirono ad ottenere servizi essenziali come la stazione ferroviaria. Gran parte della popolazione sfollata da Africo vecchio e Casalnuovo fu a lungo costretta a vivere in campi profughi; Africo Nuovo iniziò ad esistere solo all’inizio degli anni ’60. Comunque, nel 1962 gran parte dei profughi del Lazzaretto era andata ad abitare nel nuovo paese; alla metà degli anni ’60 data l’ultimazione di ulteriori 320 alloggi popolari nonché la costituzione ad Africo Nuovo di un’anagrafe e di un registro di stato civile comuni alle ex popolazioni di Africo vecchio e di Casalnuovo.
Di fatto, il comune di Africo Nuovo rimase fino al 1980 privo di delimitazione territoriale, mentre i suoi abitanti avevano perso la loro antica condizione sociale (di contadini poveri) senza però averne acquistata una migliore.
Già nel periodo della costruzione del nuovo abitato, infatti, aveva iniziato a consolidarsi un’economia di tipo assistenziale, dapprima con il sussidio erogato ai profughi, poi grazie ai sussidi di disoccupazione; un’altra fonte di sussistenza era costituita dalle rimesse dei lavoratori africesi emigrati; l’assistenzialismo migliorò in modo significativo il tenore di vita della popolazione, ma senza che si realizzasse alcun adeguato sviluppo della produzione agricola né di quella industriale.
Tale contesto di persistente precarietà economica condizionò pesantemente tutte le successive vicende del paese. Vi furono forti tensioni sociali, che si manifestarono in scioperi, manifestazioni di protesta, blocchi ferroviari, lotte per la democrazia e per il lavoro che videro il coinvolgimento di una larga parte della popolazione; a tali istanze le pubbliche autorità spesso faticarono a dare risposte che non fossero meramente repressive.
Scoprire Africo Antico
Una mulattiera impervia, percorribile da un certo punto in poi solo a piedi, conduce oggi ai ruderi di Africo Antico, rendendo l’idea di isolamento e pericolo a cui era soggetto il borgo. Qui il silenzio circola fra i resti delle case avvolte dalla folta vegetazione, creando un’atmosfera di rievocazione storica, di abbandono e di voci interrotte. Ancora ben riconoscibile è la scuola elementare dedicata a Zanotti Bianco, patriota, ambientalista e politico, che celebrò Africo nei suoi racconti, e quel che resta del Municipio.
Non poco distante, la chiesa di San Salvatore, con suo il campanile e la campana in bronzo, e il cimitero, dove i defunti sono rimasti sepolti sino al 1999, poi trasferiti al cimitero della Africo nuova. Più in là, la chiesa di San Leo, dove ancora a maggio di ogni anno, dal 1972, tornano i festeggiamenti del patrono con una processione dal paese nuovo a quello antico.
Nel romanzo La Teda, Saverio Strati, che in giovinezza lavorò ad Africo Antico come muratore, scrive: «C’erano tanti ragazzi che giocavano per le strade e le porte delle case erano aperte […] e le donne, sedute sugli scalini, parlavano tra loro», racconta. «Il paese era in pendio e di sotto c’era la fiumara […] e nello schienale c’erano delle rocce, che pareva che dovessero rotolare da un momento all’altro».
Nonostante la lontananza e il percorso ripido, Africo Antico è oggi un luogo molto amato da appassionati di trekking e da escursionisti, anche grazie a gite organizzate, come quelle del Gea-Gruppo escursionisti d’Aspromonte, con il loro progetto Sentiero del Brigante. Ma questo interesse non basterà a salvaguardare e tenere in vita un cumulo di case sempre più in deterioramento.
Africo Antico, come tanti altri centri abbandonati del nostro entroterra, rappresenta un importante patrimonio storico e archeologico da recuperare e valorizzare. Un luogo dove la storia e la memoria dei nostri antenati merita di rimanere viva nel tempo, affinché le future generazioni possano conoscere e apprezzare il ricordo della Calabria antica.
Monumenti e luoghi d'interesse
Del patrimonio architettonico ancora esistente nel territorio del vecchio abitato si segnala la chiesa di San Leo, dalle semplici forme architettoniche, ad un’unica navata con abside semicircolare e campanile sul fronte principale. Nel campanile sono conservate le due campane di bronzo probabilmente risalenti all' epoca di costruzione della chiesa. Ha una cupola con la statua di marmo del Santo, risalente al 1635, di artigianato locale. Situata nella zona di Africo Vecchio, in contrada Mingioia, è certamente di matrice bizantina.
Distrutta dopo l'alluvione del 1951 è stata restaurata ma, mentre l'esterno conserva ancora la foggia originale, l'interno è completamente rifatto. Nel 1972 la chiesa è diventata meta di pellegrinaggi.
A circa 300 metri dall'edificio c'è una piccola costruzione. Qui morì San Leo e qui sorgeva l'antica chiesa. Dal momento, però, che in quel posto l'edificio dava continui segni di cedimento, la popolazione dedusse che al Santo non piacesse la collocazione. Edificarono, quindi, l'attuale chiesa che si trova proprio di fronte al luogo dove San Leo andava a meditare.
Nel cuore del Parco Nazionale dell’Aspromonte, a 1300 metri di altitudine, rientrante nel comune di Africo, si può ammirare la cascata Palmarello. È forse la meno conosciuta tra le cascate aspromontane a causa delle difficoltà nel percorrere il ripido e scosceso crinale che consente di raggiungerla ma non per questo meno spettacolare delle altre. Generata dal torrente Aposcipo, il suo salto unico di circa 70/80 metri è il più alto del parco osservabile da un terrazzo naturale tra la fitta vegetazione di roveri e pini larici. L'acqua purissima sgorgando dalla roccia forma un piccolo laghetto ricco di trote. Particolarmente spettacolare ammirare gli spruzzi creati dall’acqua nei periodi di piena.
La chiesa di San Salvatore è l’edificio che è rimasto più intatto tra i ruderi che costituiscono Africo vecchio. Si intravede attraverso la vegetazione già appena si entra nel borgo, si avanza nella sua direzione e ci si trova davanti una piazzetta circondata da ruderi di vecchie case. C’è un campanile che però è sprovvisto di campane; la costruzione nella sua parte esterna si è sorprendentemente conservata, all’interno il tempo e i saccheggi l’hanno, purtroppo, svuotata. Sono presenti tre altari, infatti, privi di marmo e di statue e si intravede un pulpito.
La scogliera di Africo è l’ideale per passare qualche giorno in completo relax. Vicinissima al promontorio di Capo Bruzzano, di cui ricalca in parte bellezza e naturalezza, non offre servizi proprio per la sua conformazione geografica che non rende possibile la costruzione di stabilimenti balneari e abitazioni. Lungo questa parte della Costa dei Gelsomini è stato ritrovato un grande masso con dei lineamenti di un volto umano perfettamente definiti. Si tratta di un importante ritrovamento archeologico risalente alla Magna Grecia, come quelli avvenuti a Riace negli anni ’70. Capo Bruzzano può essere raggiunto a piedi da Africo Nuovo. Dalla spiaggia si gode di una bellissima vista direttamente sull’Aspromonte, l’acqua del mare è cristallina e la scogliera ha delle forme bizzarre e fantastiche. La zona circostante è circondata dalla natura incontaminata e si presta a lunghi periodi di relax. Lungo il litorale si possono raggiungere altre spiaggette incastonate nella scogliera, altrettanto meravigliose e selvagge.