Bianco è un comune italiano di 4175 abitanti della Città Metropolitana di Reggio Calabria.
Origini del nome
Il suo nome deriva dai calanchi, colline calcaree che circondano il centro abitato, le quali apparivano ai marinai come una macchia bianca sulla costa.
Informazioni:
Sito istituzionale:
www.comune.bianco.rc.it
Il Territorio
Bianco è un centro posto sulla Costa dei Gelsomini, sulla fascia ionica della Città Metropolitana di Reggio Calabria, ad est del capoluogo, e sorge sul litorale a 12 metri s.l.m., tra le foci delle fiumare Bonamico e La Verde.
Perla della Locride, è celebre per il mare mozzafiato ed è stato più volte Bandiera Blu della FEE. Il comune inoltre è inserito nell’area protetta Parco Marino Regionale Costa dei Gelsomini.
La Storia
L’origine di Bianco non ha una data certa: le prime attestazioni dell’esistenza dell’abitato risalgono alla fine del XI secolo, per poi farsi più concrete nei due secoli successivi. Infatti il nome del paese compare per la prima volta in una platea della contea di Sinopoli, datata 1194 ma con aggiunte del 1274 e una trascrizione effettuata nel 1335, dove è citata come Mocta Blanci: di conseguenza, l’abitato sorse come un borgo fortificato e provvisto di mura.
I primi feudatari di Bianco furono i Ruffo, che ne detennero il territorio con il titolo di barone fino al 1445, con l’ultima esponente, Enrichetta Ruffo, moglie di Antonio Centelles, il quale, ricevuti in eredità i feudi della moglie, fu privato di ogni titolo e privilegio da re Ferrante d’Aragona per la sua partecipazione ad una congiura nobiliare contro la monarchia. Tuttavia, dopo il perdono reale, nel 462 Centelles riottenne i suoi feudi, che quattro anni dopo passarono al fratello Alfonso: nel 1466 però Bianco, insieme a Bovalino e a Bruzzano, ebbe dal sovrano il privilegio di diventare terra demaniale, ossia sottoposta all’autorità diretta della corona. Malgrado questo, nel 1496 Bianco venne nuovamente infeudata a Tommaso Marullo, conte di Condojanni, la cui famiglia detenne il possesso della Baronia di Bianco fino al 1588, quando, a causa dei debiti contratti, essa venne confiscata e messa in vendita per pagare i creditori del conte Giovanni Marullo.
Il feudo bianchese fu acquistato nel 1589 da Fabrizio Carafa, principe di Roccella e marchese di Castelvetere, e rimase sotto la giurisdizione della sua famiglia fino al 1806, anno in cui venne decretata l’eversione della feudalità da re Giuseppe Bonaparte, messo sul trono da Napoleone Bonaparte dopo aver costretto all’esilio la dinastia borbonica. Durante la signoria dei Carafa, Bianco visse un periodo economico e sociale molto florido, specialmente per le attenzioni del principe Carlo Maria Carafa, un nobile illuminato che voleva ordinare e rilanciare l’attività socio-economica dei suoi possedimenti attraverso norme e regolamenti precisi. Quindi, dopo una visita nel 1674 effettuata per rendersi conto della situazione, il principe Carafa fece stampare nel 1692 un codice normativo (chiamato Ordini, Pandette e Costituzioni) valevole in tutte le sue terre, che regolava nel miglior modo possibile l’economia, l’amministrazione e la giustizia del paesi sottoposti alla sua autorità, senza trascurare l’aspetto religioso e la difesa costiera contro l’assalto dei pirati barbareschi.
Per via della sua posizione geografica, Bianco divenne anche un importante snodo commerciale del luogo: la cittadina possedeva infatti un caricatoio di merci, da dove venivano imbarcati legname e pece nera, ricavati dalle foreste di Ferraina, sopra l’abitato dell’odierna Samo. Importante era anche l’allevamento dei cavalli, importati dal principe Carafa, detti “Regia Razza”, poiché venivano venduti anche alle scuderie reali di Napoli, tanto che lo stemma comunale di Bianco ha come simbolo un cavallo bianco al galoppo.
Bianco fu raso al suolo in seguito al terremoto del 1783, che provocò anche la morte di 36 abitanti; dell’abitato originario oggi rimangono alcuni resti a pochi chilometri dal nuovo paese, edificato in prossimità della costa e ribattezzato Bianco Novo, dove si trasferì gran parte della popolazione.
Durante la dominazione francese sul Mezzogiorno d’Italia, il Regno di Napoli subì una riforma amministrativa importante: il territorio fu suddiviso in Distretti, retti da un Intendente, a loro volta suddivisi in circondari, a loro volta ripartiti in Comuni e villaggi: in quest’ottica, Bianco divenne sede del circondario omonimo (comprendente anche San Luca, Samo, Caraffa del Bianco e Casignana), facente parte del più ampio Distretto di Gerace: tale ripartizione amministrativa fu mantenuta anche dopo la Restaurazione borbonica a Napoli nel 1816. Nel Distretto, nell’autunno del 1847, scoppiò una rivolta patriottica, inquadrata nella rivolta mazziniana di Reggio Calabria dello stesso anno: tra i promotori spiccò Domenico Salvadori, originario di Bianco, uno dei cosiddetti “Cinque Martiri di Gerace” (oltre a Salvadori, vi erano Rocco Verduci, Gaetano Ruffo, Michele Bello e Pietro Mazzone). I rivoluzionari occuparono i paesi di Bianco, Bovalino e Caraffa del Bianco, bruciarono gli stemmi reali, distrussero le carte della polizia borbonica ed emanarono un proclama, con cui si abolivano il divieto di attingere acqua di mare (allora usata come medicamento) e il dazio governativo, oltre a dimezzare il costo del sale e dei tabacchi. La rivolta tuttavia fu bene presto stroncata dall’intervento dell’esercito borbonico e dallo scarso seguito popolare: i cinque promotori del moto rivoluzionario, incluso Domenico Salvadori, vennero catturati, processati e condannati a morte per fucilazione a Gerace il 2 ottobre 1847
Dopo L’Unità d’Italia, la suddivisione amministrativa del nuovo Stato cambiò di poco: i Distretti vennero aboliti e sostituiti dai Circondari, governati dai sottoprefetti, a loro volta suddivisi in Mandamenti, dentro i quali si trovavano i Comuni: Bianco divenne quindi sede del Mandamento omonimo, che comprendeva anche Samo, Caraffa, San Luca, Casignana e Sant’Agata del Bianco. Il paese venne coinvolto nella repressione del brigantaggio postunitario da parte delle truppe sabaude: nel settembre del 1861, infatti, il generale De Gori, al comando di una compagnia di Guardie Nazionali e di un reggimento di bersaglieri, fece bruciare il convento del Crocefisso di Bianco e fucilare un monaco, in quanto il priore aveva dato ospitalità a Josè Borjès, un generale spagnolo messosi al servizio dei Borbone e sbarcato in Calabria con lo scopo di riunire le bande brigantesche in un unico esercito e tentare la riconquista dei territori dell’ex-Regno di Napoli.
Nel 1908, in seguito al disastroso terremoto di Messina che aveva devastato anche Reggio Calabria e i paesi della costa calabrese ionica, l’antico borgo medievale fu definitivamente abbandonato e i suoi abitanti si trasferirono alla marina. Negli anni venti del XX secolo, anche a Bianco si fecero sentire le proteste delle leghe contadine per la ripartizione dei grandi latifondi agli ex-combattenti, secondo quanto disposto dal Decreto Visocchi del 1919; il paese fu successivamente sede del più consistente Fascio del Circondario di Gerace, che arrivò a contare 250 membri. Infine, durante il referendum istituzionale tra Monarchia e Repubblica del 2 giugno 1946, la popolazione di Bianco votò in massa per la Monarchia, che ottenne 1414 voti, contro gli 803 suffragi espressi per la forma repubblicana.
Arte e cultura
Monumenti e luoghi d'interesse
Il Borgo Antico di Bianco è raggiungibile attraverso una stradina stretta e angusta che risale una serie di altopiani interni fino a raggiungere la cima di una collina che domina la fiumara La Verde.
Il sito presenta alcune caratteristiche che lo accomunano a tanti altri centri abitati calabresi, con difese naturali atte a rendere difficile la conquista del borgo, cono di visibilità funzionale al controllo di un’ampia porzione di territorio e la presenza, a breve distanza, di una consistente riserva idrica (la fiumara La Verde). A Bianco Vecchio, rivolgendo lo sguardo verso costa, si rimane rapiti dallo scorcio offerto dallo spettacolo del mare. L’accesso a Bianco Vecchio avviene attraverso la porta posta a Mezzogiorno, i cui resti sono ancora visibili. La frequentazione del borgo subì un duro colpo in seguito al tremendo terremoto del 1783, che causò la distruzione di una parte consistente dell’abitato con relativo abbandono da parte di monti abitanti. Nel 1908 la terra tremò nuovamente e la resa divenne definitiva al cospetto della forza dirompente della Natura. Il borgo fu abbandonato e i superstiti si spostarono sulla costa, dove venne fondato il moderno abitato di Bianco. A Bianco Vecchio si possono apprezzare le rovine delle antiche abitazioni inerpicate sulla collina, ancora tenacemente attaccate a quei terrazzi su cui erano state edificate secoli prima.
Tradizioni e folclore
Il clou dell'estate bianchese è la festa patronale che, nella sua espressione laica, dura per tutti i primi quindici giorni di agosto con varie manifestazioni che si intensificano via via per culminare il 15 agosto, nella festa religiosa in onore della Madonna di Pugliano accompagnata da uno spettacolo pirotecnico che, nella notte tra il 15 ed il 16 agosto, riempie la spiaggia del paese con una folla di migliaia di persone provenienti da tutta la provincia. Il 13 Agosto dopo la novena si celebra la prima processione che si snoda sulla parte bassa del paese per poi giungere sulla spiaggia dove l’effige viene da posta su una barca accompagnata da altre barche. Il 14 mattina alle ore 09,15 il Sindaco e l’amministrazione comunale si recano al Duomo per prendere il sacerdote ed insieme scendono verso il santuario, alle ore 09:30 ha avvio la seconda processione che si snoda nella parte centrale del paese per poi raggiungere il Duomo. Il 15 mattina dopo il solenne pontificale si svolge la terza processione nella parte alta del paese. La sera alle 21,00 si svolge la “scesa” che attira ogni anno migliaia di persone, la processione viene accompagnata per tutta la durata dai fuochi d’artificio e alla fine al santuario si svolge la corsa della vara.