Scido è un comune Italiano di 853 abitanti della Città Metropolitana di Reggio Calabria.
Origini del nome
L’etimologia del nome Scido deriverebbe da Skidon, scheggia di legno, toponimo di origine bizantina. Anche se non confermato, pare infatti che il nome prenda origine dai dintorni boschivi e dalle attività della sua popolazione, da secoli legata esclusivamente alla lavorazione del legno.
Informazioni:
Sito istituzionale:
www.comune.scido.rc.it
Il Territorio
Scido è situato all’interno del Parco Nazionale d’Aspromonte, delimitato dalle due fiumare Cresarini e Pietragrande, nell’alta Valle del Torrente Duverso, a 456m s.l.m. Lungo il percorso del Torrente si possono ancora osservare i resti di antichi mulini ad acqua, che costituiscono un itinerario ideale di archeologia agro-industriale. Dal borgo si possono raggiungere facilmente sia il litorale ionico che quello tirrenico, collocazione ideale quindi per turisti ed escursionisti.
Il territorio di Scido è racchiuso tra tre monti -Junco, Petronà e Carmelia – ed è caratterizzato da vaste distese di ulivi secolari e numerose acque sorgive, tra le quali l’acqua delle viscere che vanta proprietà curative nelle patologie dell’apparato digerente. Gli estesi boschi che circondano il borgo, forniscono abbondante legname da costruzione che ha alimentato nel tempo l’artigianato delle sedie e del ciocco. Quest’ultimo è il pedale ingrossato di un albero, utilizzato per la realizzazione di pipe di pregio.
La Storia
Scido ha origini bizantine, per quanto alcune tracce facciano credere che l’area fosse occupata fin dall’epoca greco-romana. Nel 951 d.C, durante un’invasione araba, i suoi abitanti terrorizzati si ritirarono verso l’entroterra, dando origine al Borgo di Scido (Skydon, quando la lingua degli abitanti era greca, significa appunto “luogo dai fitti boschi”). La sua storia più recente lo vede assoggettato alla signoria dei conti di Sinopoli fino alla fine del Quattrocento; passò quindi alla famiglia degli Spinelli, con la quale il paese conobbe il periodo di maggiore splendore. Il terribile terremoto del 1783 rase il borgo quasi completamente al suolo. Ricostruito con devozione dai suoi abitanti, sotto i Borboni fu aggregato al Comune di Santa Cristina dal quale si staccò solo nel 1837.
Arte e cultura
Monumenti e luoghi d'interesse
Palazzo Ruffo è un palazzo antico del 1875 che apparteneva ad una importantissima famiglia nobile delle sette grandi casate del Regno di Napoli, la Casata Ruffo.
Fu dopo di loro, con l'arrivo della famiglia Spinelli, che il paese e il palazzo conobbero il loro momento di maggiore splendore. Testimonianze di Casa Spinelli si possono osservare in via Vittorio Emanuele, dove un'abitazione privata conserva le 9 facce umane in pietra tenera e un antico balcone di ferro battuto.
All'interno del Palazzo Ruffo , inoltre, si possono ammirare:
- stupendi affreschi della vita rurale risalenti al 1988, realizzati dall'artista scidese Gaetano Zampogna, conosciuto ed apprezzato sia in Italia che all'estero.
- una campana di bronzo (1950) sulla quale si trova impressa la seguente frase: “Al Viatore stanco segna il tempo che passa, lo squillo canoro di questo bronzo”. Detta campana sormontava una grande lapide commemorativa per i caduti della Prima Guerra Mondiale- lapide che oggi troviamo esposta sul prospetto principale del Municipio e dettata dal poeta Felice Soffrè.
- l'esposizione di una pregiata collezione di pipe, rappresentanti personaggi storici e politici, animali dogni genere e preistorici, e disegni con fantasie varie, la quale rappresenta il lavoro dellartigiano Scidese mastro Rocco De Giglio (1913-2009).
La Biblioteca Comunale Paolo Greco è situata nell'antico palazzo Ruffo (1875), appartenuto ad una delle più antiche nobili famiglie del Regno di Napoli, da anni, è stato acquisito e ristrutturato dal Comune di Scido. La Biblioteca raccoglie un ingente patrimonio di grande valore storico e culturale costituito da: beni librari testimonianza di storia e cultura calabrese, presenza di testi pregevoli e ricercati e una rarissima edizione delle tragedie di Ruffa, l'opera quasi completa del Galluppi, un carteggio epistolare dello scrittore Luigi Pirandello, un'ampia raccolta di libri antichi dal 1500 in poi, una pergamena donata alla città dall'imperatore Carlo V, lettere autografe di personaggi storici italiani come Giuseppe Garibaldi, Francesco Crispi e Gabriele D'Annunzio, i cinque volumi del Voyage pictoresque di Jean Claude Richard de Saint-Non,ecc. - reperti archeologici del IV-III sec. a.C., - beni etno-antropologi (capi di vestiario pregiato e raccolta di pezzi in terracotta). - reperti numismatici, mobili antichi ( 700/800). Questo patrimonio non è altro che l'impegno del Dott. Paolo Greco, medico chirurgo di Delianuova,(Delianuova 1894-Roma 1976), oggi di proprietà del Comune di Scido.
Il Museo della Civiltà Contadina di Scido è ospitato presso Palazzo Ruffo, edificio del 1875, sede della Biblioteca Comunale. Il Museo espone testimonianze materiali di antichi mestieri persi nella memoria del tempo. E’ conservato ed esposto di tutto, attrezzi, paioli, ferrame vario vecchissimo. All’interno è possibile osservare un vecchio frantoio in pietra, con una grande ruota porziana a trazione idraulica dei primi decenni del novecento ancora funzionante. Ogni pezzo della collezione permette al visitatore di immergersi in un mondo solo apparentemente lontano.
Non meno importanti, sono i reperti archeologici, i reperti numismatici, i mobili antichi (700/800) e i beni etno-antropologici, tra cui capi di vestiario pregiato e raccolta di pezzi in terracotta. Nel Museo vi è anche una sala dedicata alla pipa. Sono più di duecento i pezzi realizzati da Mastro Rocco De Giglio. La maggior parte dei pezzi sono zoomorfi o antropomorfi realizzati con grande perizia e con notevole vena artistica. Vi è la vetrina con pipe a forma di uccelli, quella con le pipe a forma di mammiferi, di rettili, di animali preistorici e quella con il volto di personaggi famosi della politica e del mondo dello spettacolo.
Realizzato dallo scultore Domenico Papalia, il momento commemorativo rappresentato dall'opera , evidenzia la solidarietà come alto valore morale, sociale e civile dei caduti durante le guerre mondiali, i cui tragici effetti non cancellano il sacrificio di coloro che non hanno esitato a morire per la Patria e per il prossimo. Le figure, dalla forma anatonica volutamente non perfetta, esprimono una forza soprannaturale, che con l'aiuto che viene dall'amore, sconvolge ogni canone. La posizione delle braccia, a forma di cerchio, simboleggia un abbraccio di solidarietà che racchiude tutta l'umanità.
Purtroppo, a causa del terremoto di fine ‘700, oggi rimane ben poco delle antiche pievi. Alcune strutture, però, risultano ancora di grande interesse storico.
La Chiesa Parrocchiale di San Biagio, per esempio, ha origini molto antiche, si sa della sua esistenza già nel XII secolo. Presenta uno stile sobrio e linee architettoniche classiche, ad eccezione dell'abside, la parte più antica. L'altezza della Chiesa supera quella delle abitazioni in quanto "dimora dell'Altissimo" secondo il gusto degli Angioini. Tra le opere, la Chiesa custodisce al suo interno due preziose statue marmoree della scuola del Gagini risalenti al ‘700 circa: la statua della Madonna del Soccorso e di Santa Caterina d’Alessandria.
Nel cuore del piccolo borgo si può ammirare l'unica Chiesa rimasta, la Chiesa di Santa Maria della Catena, risalente al 1772, dedicata alla protettrice delle donne partorienti e dei carcerati, cui gli abitanti sono molto devoti.
Il culto della Madonna della catena nasce a Palermo nel 1392 dopo uno strepitoso miracolo. Si racconta che tre uomini furono condannati ad essere impiccati, cosi un giorno (forse il 16 agosto), furono condotti sul luogo dell’esecuzione. Mentre si preparavano le forche scoppiò un gran temporale il quale costrinse i carnefici a rifugiarsi nella chiesetta della Madonna e legare i condannati, con delle catene, all’Altare. I tre innocenti cominciarono a pregare la madonna , ad un tratto, mentre i soldati cadevano in un sonno profondo, le catene si spezzarono e la Madonna li rassicurò dicendo andate pure il libertà e non temete il divino infante, che tengo tra le braccia, ha accolto le vostre preghiere e vi ha concesso la vita. Il miracolo si diffuse ovunque e la Madonna della catena divenne patrona di molti Comuni.
Il suo culto si celebra nell’ultima domenica di agosto e richiama numerosi fedeli provenienti dai paesi vicini. Dopo la Messa Solenne e la processione per le vie del paese, la festa si conclude con il tradizionale ballo "du sceccu". Durante le feste patronali del reggino, infatti, è usanza fare quello che originariamente era il ballu du camiddhu (ballo del cammello) mediante una struttura realizzata in canna di palude con la forma di un cammello, successivamente realizzata a forma d'asino, in dialetto sceccu. Dalla struttura fuoriescono petardi e fuochi d’artificio, che vengono accessi all'inizio della danza, e una persona che si cela nella struttura fa ballare "U Sceccu" a suon di tarantella. Alla fine del ballo, "U Sceccu" fa esplodere una raffica di petardi dalla “coda“, facendola girare vorticosamente. Il significato di questo ballo era quello di ricordare la cacciata degli invasori turchi dalle terre calabre, dopo vari secoli di dominazione che portarono alla sottomissione e alla povertà delle popolazioni locali.