Comune di Bagaladi

(Vagalades in greco-calabro) è un comune italiano di 956 abitanti della città metropolitana di Reggio Calabria. Il comune fa parte dell’area Grecanica ed è una delle porte di accesso al Parco Nazionale dell’Aspromonte. Situato lungo la strada per raggiungere l’Aspromonte, si inserisce in un ambiente caratterizzato dalla numerosa presenza di uliveti e dalle acque minerali. Il territorio presenta uno sviluppo altimetrico dai 390 s.l.m. (Ielasi) ai 1633 s.l.m. (Pantanizzi). Comprende i nuclei abitati di Ielasi, Embrisi e Gornelle.

Origini del nome

Intorno al 1500 il borgo prende la sua attuale denominazione, nome oggetto di dispute storiche rispetto alla sua derivazione. Molti sostengono che venga dall’arabo “Baha-Allah”, ovvero bellezza che viene da Dio, storpiato poi in Vadalà, cognome di una famiglia che risiedeva qui. Nella lingua greca calabrese, infatti, il suffisso -adi è dato in appartenenza a una famiglia. Altri lo riconducono alla grande produzione olearia, un miscuglio di termini latini e greci come “bag” ovvero “vallum-val” e “aladi” cioè olio in greco moderno: Valle dell’olio, quindi.

Informazioni:

Sito istituzionale:

www.comune.bagaladi.rc.it

Il territorio

Il borgo di Bagaladi si trova nella Valle del Tuccio, zona fortemente legata al passato greco-ortodosso della Calabria. Possiamo notare infatti che quest’area è composta soprattutto da piccoli comuni dai nomi greci, come ad esempio Chorio Musupuniti, e da nomi di santi tipicamente bizantini come San Pantaleone e San Fantino. Il paesaggio che circonda Bagaladi, costeggiando la fiumara di Melito, ricordata dal geografo Idrisi come “la fiumara del miele”, è ricco di rigorosi uliveti, che ne arricchiscono l’agricoltura anzitutto, ma rendono anche il panorama di una bellezza ineguagliabile.

La Storia

L’insediamento è di probabile origine araba. Bagaladi ebbe un peso notevole in epoca normanna ed in epoca sveva, per una serie di privilegi feudali accordati.
Alcuni documenti del periodo normanno, confermano l’esistenza di possedimenti nella Vallata del Tuccio sin dal 1095 che successivamente furono donati all’Archimandrita del San Salvatore di Messina.
Nel secolo XIII gli Angioini annoverano la Vallata del Tuccio fra le sei signorie ecclesiastiche calabresi che diventò quindi feudo, compreso nella baronia di Guglielmo di Amendolea. In un secondo tempo il feudo passò agli Abenavoli e a Bernardino Martirano per essere poi acquistato dai Mendoza che nel 1624 lo vendettero ai Ruffo di Scilla i quali lo tennero fino all’eversione napoleonica del 1806.
In epoca più recente Bagaladi si distinse per l’accoglienza riservata ai garibaldini sbarcati a Melito Porto Salvo.

Monumenti e luoghi d’interesse

  • Chiesa di San  Teodoro

Camminando per le viuzze del borgo, che confluiscono tutte nella piazza centrale, incontriamo la chiesa di San Teodoro .All’interno è possibile ammirare “L’Annunciazione” di Antonello Gagini, che oltre ad essere considerata un capolavoro rinascimentale del Sud Italia, rappresenta una testimonianza importantissima dell’influenza esercitata dalla cultura artistica latina, nell’enclave greca dell’Aspromonte meridionale, agli inizi del Cinquecento. Il gruppo scultoreo dell’Annunciazione di Antonello Gagini (1478 –1536), oggi nella navata sinistra della chiesa di San Teodoro di Bagaladi, proviene dall’antico edificio culto dell’Annunziata, danneggiato nel terremoto del 16 Novembre del 1894 e in seguito nel terremoto del 1908. L’opera riprende pedissequamente l’iconografia tradizionale dell’Annunciazione della Vergine con le figure a tutto tondo dell’Angelo Annunziante e dell’Annunziata, collocate entrambe su scannello; al centro, tra la scena sacra, si interpone un leggio profilato ad altorilievo mentre in alto si staglia la figura a bassorilievo dell’Eterno Padre. Il gruppo scultore è inserito all’interno di un apparato architettonico tipico del rinascimento toscano, interamente realizzato in marmo bianco di Carrara, in origine dipinto a tempera e dorato. Residui di colore e doratura sono ancora visibili in più punti del monumento, specie sui volti e sulle vesti dell’Angelo, dove sono ben facilmente individuabili le decorazioni floreali degli abiti. La stessa iscrizione è dipinta con un pigmento nero per agevolare la lettura del testo. L’opera ha subito un importante intervento di restauro agli inizi del Novecento e successivamente intorno agli anni Settanta del secolo scorso, quando l’intera cappella fu rivestita di travertino.

Di notevole importanza anche il crocifisso marmoreo che propone sul retro la raffigurazione, nei bracci, dei busti degli apostoli, secondo una iconografia tipica delle croci reliquario in argenti tardo medievali. Nonostante venga chiamato spesso “crocifisso bizantino” l’opera è da rapportare molto probabilmente ad una bottega della fine del XV secolo se non addirittura degli inizi del XVI secolo. Non è da escludere, infatti, che all’esecuzione del crocifisso abbia concorso proprio la bottega del Gagini.

Rilevanti anche le antiche campane, che pare siano state rinvenute tra le rovine di una delle laure dei santi eremiti di Valle Tuccio.

  • I cenobi basiliani

La Valle del Tuccio fu ricca di Monasteri tra i quali il più importante fu il Monastero di Sant’Angelo, in territorio bagaladese, insieme ai Monasteri di San Teodoro, San Michele e San Fantino costruiti intorno ai secoli X – XI. Il Monastero di Sant’Angelo si presume fosse siculo-bizantino e fosse stato eretto dai monaci basiliani sfuggiti alle incursioni arabe della Sicilia. Esso sorgeva in località Rungia e i suoi resti furono visibili fino all’alluvione del 1951.

Presso la Porta del Parco è disponibile un centro informazioni dove vi è la possibilità di scoprire i sentieri che portano alla scoperta dei ruderi degli antichi cenobi dei santi italo-greci.

  • I famosi mulini ad acqua, frantoi e diverse case coloniche

Il Torrente Zervò è un corso d’acqua a bassa portata che divide in due il centro abitato di Bagaladi. La presenza dell’acqua ed un sistema particolare di canalizzazioni ha permesso, nel corso dei secoli l’instaurarsi sulle sponde dello stesso di varie macchine idrauliche. Partendo dal lato a monte del centro abitato troviamo il Frantoio Rossi, frantoio grimaldiano con ruota da sopra, realizzato nel 1885, oramai allo stato di rudere, Il bottaccio e Il mulino Rossi, oggi rifunzionalizzato, con ruota orizzontale, che ha la caratteristica di essere il mulino con la saetta più alta esistente in Calabria (19,50 metri di salto). A valle del centro abitato troviamo Il Frantoio Jacopino, realizzato nella seconda metà dell’Ottocento e oggi sede del Museo dell’olio e del Centro Visite del Parco Nazionale d’Aspromonte, a modello grimaldiano come il primo con ruota da sopra e, per finire, alla confluenza del Torrente con la Fiumara Tuccio un’antica noria, oramai in disuso. Il percorso diventa interessante in quanto, in un breve tratto, è possibile vedere due ruote idrauliche completamente differenti, la ruota orizzontale, applicata al sistema mulino e la ruota verticale applicata al sistema frantoio. La diversità delle ruote era dovuta al differente uso dell’energia idraulica necessaria ai due tipi di opifici. Nel mulino è necessaria una bassa potenza e un basso numero di giri, e, quindi, la ruota orizzontale assicurava un moto rotatorio ad un massimo di 140 giri al minuto necessaria per movimentare una macina per cereali, la ruota verticale assicurava enorme potenza, dovendo alimentare le macine del frantoio ed altri apparecchi necessari all’estrazione dell’olio. I mulini a cui è applicata la ruota orizzontale vengono chiamati mulini greci o arabi ed è un sistema molto antico di sfruttamento dell’energia idraulica. All’interno dei due edifici oggi visitabili, il Mulino Rossi ed il Frantoio Jacopino, sono ancora visibili le antiche macchine un tempo mosse dalla forza idraulica.

  •  Frantoio Iacopino

Famosissimo per la produzione di uno speciale olio d’oliva, per anni fonte di sostentamento di tutta la sua popolazione, il borgo continua a conservare le sue tradizioni. Infatti, uno dei fiori all’occhiello del piccolo centro è proprio il Frantoio Iacopino, citato dal viaggiatore Edward Lear, uno dei primi frantoi a utilizzare l’acqua come forza motrice. Completamente restaurato, ospita il Museo dell’Olio diventato un luogo in cui rivivere le antiche tradizioni e al cui interno troviamo in esposizione strumenti antichi e inconsueti, in uso nei frantoi sino agli inizi del Novecento, e un frantoio grimaldiano azionato da una ruota a trazione idrica ancora funzionante. Un’apposita sezione racconta la coltivazione e la produzione dell’olio, attraverso foto e video. Questo vecchio frantoio, divenuto luogo di accoglienza e ospitalità del Parco dell’Aspromonte, racconta al visitatore una tradizione che non è solo un ricordo, ma il modo di vivere di questa terra.

La visita del Museo è guidata da personale esperto. E’ possibile concordare visite didattiche chiamando la Porta del Parco di Bagaladi Tel. 0965/724806 – 346/6028815.