Placanica (anticamente Mocta Paganica, Paganica Παγκανική in greco, Lakònika in greco-calabro) è un comune italiano di 1170 abitanti della città Metropolitana di Reggio Calabria in Calabria.
L’abitato originario risale al XII secolo e sorge su una collina tra la fiumara Precariti ed il torrente Càstore o Fiorello. Dista 9 km dalla SS 106 ed è situato in prossimità delle coste del mare Jonio, le cui estese spiagge sono meta di turisti nei mesi estivi.
Informazioni:
Sito istituzionale:
www.comune.placanica.rc.it
La Storia
Sorse presso un monastero basiliano edificato da alcuni frati in fuga dall’Oriente. Originariamente il suo nome fu Pagus, villaggio. Poi fu detto Placanika (ricca di “plaka”, cioè di pietre litiche) e in seguito anche Paganica o Motta Placanica. Acquistò rinomanza per il noviziato che fece Tommaso Campanella nel convento domenicano.
Pare che il paese appartenne alla famiglia Arcadi prima di passare sotto il dominio dei Caraffa di Nocera che lo mantennero fino al 1593. Da alcuni documenti storici risulta poi tra i possedimenti del barone Carlo de Licandro. Nel 1637 signori di Placanica furono i d’Aragona d’Ajerbe che vi rimasero per poco tempo. Il feudo passò, infatti, sotto la giurisdizione, prima della famiglia Passarelli e subito dopo del convento di San Domenico di Soriano. Nel 1654 furono i Musitano a governare su Placanica e poi, per successione femminile ai Clemente di San Luca che vi incardinarono il titolo di marchese.
Dal catasto onciario del 1745 il paese risulta ancora dominato dai Clemente la cui dominazione si concluderà agli inizi del secolo successivo con l’eversione della feudalità. L’ordinamento amministrativo disposto dai francesi (1807) ne fece un Luogo nel cosiddetto Governo di Stilo. Con il riordino borbonico (I maggio 1816), Placanica passò nella giurisdizione del Circondario di Castelvetere (dal 1860 l’odierna Caulonia) e trasferito dalla provincia di Catanzaro in quella di Reggio Calabria allora costituita.
Il borgo è una manciata di case protette dalla vallata dei torrenti che ne solcano sinuosamente il territorio. Percorrendo l’abitato a piedi sembra se ne possa ricostruire la storia attraverso le chiese custodi di antiche preziosità e i palazzi gentilizi che custodiscono tracce di un passato affascinante e glorioso. Intorno una natura incontaminata invita a salutari passeggiate e soste per il pic-nic.
Arte e cultura
Monumenti e luoghi d’interesse
Nonostante i terremoti e le calamità naturali che hanno spesso interessato questa zona, le caratteristiche medievali del borgo sono evidenti, con viuzze pittoresche e casette color dell’argilla ricoperte dalle caratteristiche tegole ciaramidi e dalla disposizione insolita da cui il viaggiatore Edward Lear rimase profondamente affascinato. Percorrendo a piedi l’antico abitato è naturale provare a ricostruirne la storia osservando la facciata di chiese e palazzi nobiliari su cui si scorgono ancora i segni di un passato glorioso che non vuol cedere il passo all’oblio. il cui simbolo è il Castello degli Arcadi, attrazione principe del borgo, che dal 1283 – anno della sua costruzione – svetta a protezione del paese e dell’intera vallata sottostante.
Architetture Civili
Il Castello di Placanica sorge in posizione dominante di Placanica. Si trova in cima al crinale posto tra la vallata della fiumara Precariti e quella del torrente Fiorello.
Il castello sorge sui resti di un antico Monastero basiliano del IX secolo. Nei secoli il castello è stato oggetto di numerosi restauri e rimaneggiamenti che hanno portato all'aggiunta di nuovi corpi di fabbrica.
La trasformazione in castello avviene intorno al XVI secolo, quando era feudatario Diomede Carafa. La fortezza fu allestita sul lato settentrionale con bocche da fuoco, tuttora visibili. Con la successiva trasformazione in palazzo gentilizio, nella metà del XVII secolo, ad opera del marchese Clemente, signore di Placanica, le facciate del castello vennero arricchite con lesene, timpani e cornici marcapiani. L'aspetto è infatti quello di palazzo baronale, privo di merlature o feritoie. In questo stesso periodo venne dotato di un'imponente e scenografica scala interna in granito che conduceva ai piani superiori, dei locali che si affacciano sul giardino annesso al castello e della torretta quadrata posta sul lato sinistro dell'ingresso. Alla fine della grande scala si raggiunge lo spazio aperto di distribuzione alle camere, qui in cima si trovano due sedili in pietra granitica che venivano probabilmente utilizzati per ricevere i tributi feudali in natura, al momento del raccolto estivo. Una leggenda narra invece che i due sedili fossero quelli degli innamorarti ai quali era concesso giurarsi amore eterno nonostante lo ius primae noctis esercitato dal signore del palazzo.
Gli spazi esterni annotano un bellissimo giardino, ora di proprietà privata, sul quale si affacciano quattro balconi posti sul lato sud del palazzo e un belvedere ad ovest che domina l'ampia vallata del Precariti.
Oggi il "castello", ristrutturato da poco, è un’imponente costruzione di circa quaranta locali tra stanze e saloni che possono essere usati come locali museali e per convegni; una visita è comunque consigliabile perché la costruzione ha mantenuto l’interessante struttura originaria.
Sede della famiglia originaria di Caulonia, il palazzo Musco fu costruito a metà del 1800. Si tratta di una casa nobiliare a base rettangolare con corte interna. La struttura si sviluppa a più livelli: il primo conta quattro balconcini in ferro battuto, il secondo riunisce i due balconcini centrali in un unico grande balcone che copre i due sottostanti. Il cornicione dentellato continua per tutto il perimetro superiore, mentre il piano terra è protetto da due finestroni con grate di ferro ad incasso, tipiche dell’epoca, e un portale granitico con chiave di volta. La famiglia Musco comprò la maggior parte degli immobili del feudatario Clemente quando questi lasciò Placanica in seguito alle leggi eversive della feudalità, divenendo di fatto il barone del paese. Poco dopo il palazzo Musco, ha sede la Torre dell’Orologio, con facciata anticamente decorata, un piccolo campanaro e campana fusa dal maestro Antonino Orona nel 1498. L’orologio negli anni ’50 era ancora funzionante ed era il punto di riferimento per le attività quotidiane dei placanichesi.
Il sistema difensivo di Placanica prevedeva che il borgo potesse essere raggiunto dalla Porta del Ponte grazie a un ponte levatoio che raggiungeva i piedi dell’attuale chiesa di S. Rocco. La piazza alla quale si accede dal ponte, di forma circolare, corrisponde all’antico ‘pastino’, e presso di essa si riconoscono i resti dell’antica porta cittadina. Le altre di accesso al borgo erano: la Porta del Castello (Portella) a nord, la Porta Nuova ad est e la Porta del Bando nel centro, poco sotto il castello, la quale costituiva l’ingresso principale al paese. L’attuale fabbricato di circa 30 m sostituì il precedente ponte levatoio in legno. Ispirandosi a quella antica, di recente è stata rifatta la pavimentazione del ponte così come del centro storico del paese, a partire da via Roma fino al castello. Il ponte poggia su un arco con volta a botte affiancato da possenti contrafforti realizzati in pietrame misto, cocci, calce e malta, il quale si attraversa per dirigersi verso l’uscita sud del paese. Tale zona viene indicata dai residenti come “la lamia”.
Architetture Religiose
La chiesa dedicata a San Basilio Magno è di chiara origine basiliana (secolo XI-XII), infatti la facciata è rivolta verso Bisanzio. Grazie al progressivo popolamento dovuto alla sistematica concentrazione dell’abitato intorno al cenobio, la chiesa matrice raggiunse tra il XVII-XVIII secolo il massimo splendore, grazie anche alle necessarie modifiche e ampliamenti, per venire incontro alle esigenze dei fedeli. Conserva qualche traccia visibile dello stile rinascimentale usato in uno degli ampliamenti apportati all'edificio. Nella facciata principale si apre un imponente portale rettangolare in pietra. L'interno, a una sola navata, è caratterizzato dalla presenza di numerosi dipinti che adornano le pareti. Dietro l'altare maggiore è posto un dipinto raffigurante l'Ultima Cena.
La chiesa custodisce, inoltre le statue di Sant'Emidio, San Giuseppe, San Francesco, della Madonna Addolorata e di San Rocco, oltre a un tabernacolo in marmo finemente scolpito con porta in argento (attribuito ai fratelli Gagini). Interessante anche la cappella seicentesca del feudatario Clemente che mantiene ancora intatta sul pavimento la lapide decorata recante lo stemma gentilizio.
Attigua al convento domenicano, la chiesa è dedicata a S. Caterina d’Alessandria Vergine e martire del IV secolo. Rivolta ad est, è quasi certamente bizantina e antecedente al convento quattrocentesco. Presso di essa il filosofo Tommaso Campanella celebrò la sua prima messa. Nel corso dei secoli subì varie trasformazioni fino all’attuale del 1996. Durante i lavori di ristrutturazione fu scoperta un’intercapedine e in essa l’affresco di una Madonna con Bambino benedicente, tra due santi in vesti episcopali, probabilmente S. Basilio e S. Nicola con la scritta “questa cappella è dell’eredi del condam Loisi Arcadi”, una delle prime famiglie feudali di Placanica. La chiesa possiede un’elegante facciata barocca con portare a stipiti lapidei, sormontata da decorazioni a volute, sovrastate da monofora con sontuosa cimasa stemmata. L’altare della chiesa di S. Caterina, di marmo finissimo, si può ancora ammirare presso la cappella dell’Addolorata nella chiesa matrice. Nel pavimento protette dal vetro si possono vedere due fosse tombali dove sono stati rinvenuti ossa, pezzi di saio e rosari.
Costruito ai primi del XVI secolo, tale complesso è di importanza storica in quanto non solo si tratta di uno dei conventi più antichi della Calabria, ma anche perché accolse il celebre filosofo Tommaso Campanella, dove prese i voti e trascorse molti anni fondamentali per la sua formazione religiosa e culturale. Già priorato, nella prima metà del 1500 era fornito di due dormitori con 22 celle, un noviziato con tre celle, tutte le officine necessarie e divenne ben presto uno dei più importanti della regione. Il terremoto del 1783 causò seri danni al fabbricato che fu presto abbandonato dagli 11 frati superstiti. Usato come frantoio, il convento è stato comprato nel 2008 dal Comune ed è stato di recente restaurato. Delle antiche strutture si possono osservare i muri perimetrali e l’antica cisterna per la raccolta dell’acqua piovana convogliata da un sistema di tubature di coccio lungo le pareti. Al piano superiore si accedeva alla soffitta della chiesa di S. Caterina da cui i monaci potevano assistere indisturbati alle funzioni. Oggi il piano restaurato ospita la biblioteca comunale A. Castagna.
Tra le attrattive più importanti del Comune c'è il santuario della Madonna dello scoglio, assurto a notorietà internazionale, voluto, edificato e portato avanti dal terziario francescano Cosimo Fragomeni che vive da eremita.
Si trova in località Santa Domenica. Ha una struttura architettonica moderna caratterizzata dalla presenza di elementi decorativi in legno. Nella facciata principale si apre il portale rettangolare che dà accesso all'unica navata interna. La chiesa custodisce mosaici raffiguranti scene della Bibbia. Nello spiazzo antistante la chiesa c'è la roccia dove sembra sia avvenuta l'apparizione della Madonna sulla quale è stata posta una statuina che la raffigura.
Tutto ebbe inizio l’11 maggio 1968 giorno in cui, all’allora semplice pastore, sarebbe apparsa in visione, davanti ad un grande macigno (lo scoglio), la Beata Vergine Immacolata.
All’iniziale cappella, fu sostituita una chiesa di piccole ma armoniose proporzioni, più volte ritoccata e abbellita, l’ultima delle quali nella primavera del 2000, con la messa in posa di un grande altare in marmo bianco e intarsi di tasselli di marmo policromi, che fanno da corona al quadro di grande dimensioni, raffigurante la Vergine.
Il santuario è meta, oltre che di curiosi e studiosi, di pellegrini che accorrono anche per implorare la grazia di guarigione per sé e per i loro cari. Si stimano oltre 600 mila presenze annue di visitatori provenienti, oltre che dall'Italia, da ogni parte del globo: francesi, tedeschi, austriaci, americani, svizzeri, spagnoli, portoghesi, libanesi, ma anche giapponesi, australiani, neozelandesi e africani.
Due ricorrenze mariane richiamano in particolare alla Madonna dello Scoglio: l’11 febbraio – festa della Madonna di Lourdes – e l’11 maggio, anniversario della prima apparizione. In queste due ricorrenze un'immensa folla orante e composta, percorre anche a piedi gli 8 otto chilometri di strada che dalla statale ionica conducono alla Madonna dello Scoglio.
Situata ai piedi delle verdi colline coltivate indicate dagli abitanti come “serre”, poco prima di raggiungere l’abitato, sorge una piccola cappella che custodisce l’immagine della Vergine. Fu costruita nel 1950 per invocare la protezione della Vergine Addolorata sulle coltivazioni le quali si dice attraversassero un momento di carestia. Assieme a una fontanella posta a breve distanza, la cappella della Madonna delle Serre è stato un luogo di sosta e di riposo per i contadini e i viaggiatori placanichesi. Si tratta di una cappella votiva con base rettangolare, che precedentemente era munita di facciata con arco di ingresso, lesene e un timpano con decorazione di un cuore trafitto. Nel 2010, in occasione del centenario del culto alla Vergine Addolorata, la cappella è stata restaurata con i fondi dei fedeli. L’esterno riporta una facciata in pietra locale, il cancello è stato sostituito da uno portone in vetro e metallo. L’interno è stato realizzato dall’artista placanichese Vincenzo Franco: le pareti recano lastre litiche pittoriche, mentre la volta a botte rappresenta un suggestivo scorcio di cielo azzurro popolato da angioletti, due dei quali sorreggono la corona dorata della Vergine.
In prossimità del fiume Precariti, la torre faceva parte del sistema difensivo bizantino, angioino e aragonese onde impedire le ripetute scorrerie degli arabi sulla costa. La struttura è a tre piani non collegati internamente e presenta numerose caditoie su tutto il perimetro superiore. La chiesa bizantina, ormai rudere, è stata invece trovata nel 2005 tra la vegetazione della frazione di Colavono, sempre in prossimità del fiume Precariti, nel corso di un’indagine archeologica dell’Università degli studi di Reggio Calabria. L’edificio sacro presenta un’unica navata rettangolare che reca un’abside di forma semicircolare. Al suo interno sono ancora evidenti tracce di intonaco dipinto, mentre in corrispondenza dell’abside si trova una nicchia di medie dimensioni affiancata sui due lati da nicchie più piccole. La nicchia centrale era probabilmente destinata ad ospitare un’immagine a soggetto sacro, simbolo della venerazione dei fedeli del luogo. La gente del posto ricorda che la chiesa fosse dedicata al “Santo Volto”.
Fuori dall’abitato, in prossimità dell’argine sinistro della fiumara Precariti, sorge una piccola chiesa che nel 1700 comprendeva la sacrestia e una cella per l’eremita. Si tratta di una costruzione a pianta quadrata, alla quale si fa accesso da una piccola porta con cancello che immette nell’atrio. All’interno ritroviamo l’altare in stucco marmorizzato, decorato a lesene che reggono una piccola volta. Sull’altare trova posto l’immagine della Madonna delle Grazie, un dipinto su tela risalente al 1746 che è sempre stato oggetto di grande venerazione da parte dei fedeli. Ogni anno nel mese di luglio ricorre la “festa delle Grazie” durante la quale la statua della Madonna delle Grazie viene portata in processione dalla chiesa Matrice all’antica cappella sita nei pressi del fiume, dove sosta per tre giorni. La ripidità della discesa e le intemperie hanno reso difficoltosa la processione verso la cappella ma, nonostante le difficoltà, la devozione continua a prevalere e la tenue illuminazione del luogo aiuta a scorgere anche di notte la sponda del fiume.
Il tabernacolo si trova in piazza Umberto I, alla quale anticamente si faceva accesso passando sotto la Porta Nuova, ancora visibile negli anni ’50 dello scorso secolo. Il tabernacolo è la testimonianza della devozione dei placanichesi per la Vergine e per S. Leonardo di Noblac, vissuto nel VI secolo, culto confermato dall’obbligo di celebrare messa solenne il 6 novembre sia nel XVII che nel XVIII secolo presso l’ormai scomparsa chiesa di S. Marina. Ciò fa presupporre che esso sia molto più antico dell’edicola votiva. Gli affreschi settecenteschi raffigurano la Pietà con a lato S. Rocco e S. Emidio. L’edicola è sormontata da un fastigio coronato e datato anno 1783 per ricordare il terribile terremoto che colpì Placanica. In seguito alla calamità, fu introdotto a Placanica il culto di S. Emidio, protettore dai terremoti. Il culto del santo vive tutt’oggi con somma devozione da parte dei cittadini in occasione sia del 5 agosto data ufficiale, che del 5 febbraio. A tale testimonianza esistono altre edicole votive del santo lungo via Roma, di recente restaurate.
A pochi chilometri da Placanica, nella frazione di Titi, sorse un convento ad opera dei frati basiliani, eretto contemporaneamente a quello situato in paese (l’attuale castello). Lo studioso P. Francesco Russo è invece convinto che il complesso sia stato edificato attorno al 1402 e che si tratti di un convento dell’ordine di San Francesco d’Assisi, tesi supportata da un atto in cui verrebbe citato, anche se “se ne ignorano l’origine e le vicende”. Nonostante non sia stata fatta chiarezza sulla posa della prima pietra, sappiamo invece con certezza che il convento è stato scelto come rifugio dal filosofo Campanella nel suo tentativo di sfuggire all’arresto, episodio raccontato dallo stesso frate nel settembre del 1599. Il sisma che nel 1783 colpì il territorio costrinse ad annoverare il convento di Santa Maria nelle liste di carico della Cassa Sacra, la quale si proponeva di aiutare i bisognosi attraverso l’alienazione di alcuni beni ecclesiastici. Il convento è stato restaurato di recente: si tratta di un gioiello architettonico che conserva il suo antico fascino.
Il perimetro nel quale si erge l’odierna chiesa di S. Rocco doveva ospitare una cappella extra moenia, secondo quanto riportano le visite pastorali diocesane fino al 1700. L’abbandono della struttura e l’ampiezza dell’area edificabile hanno fatto sì che si pensasse di risolvere una questione sentita: la chiesa matrice, seppur di grande bellezza, doveva essere poco pratica da raggiungere per gli abitanti che si trovavano più a valle, così dov’è, sulla cima del colle. Si pensò così negli anni ’80 di edificare una chiesa in una posizione più facilmente accessibile, ai piedi del ponte che dà accesso al borgo. La chiesa è stata interamente costruita con le offerte dei fedeli. Si tratta di una struttura con pianta rettangolare, ad un’unica navata sormontata da una cupola che lascia passare la luce fin sull’altare. In marmo scuro, l’altare maggiore ospita la statua di S. Rocco al quale la chiesa è stata dedicata. Sulla parete di sinistra si può osservare un dipinto della Resurrezione. La facciata presenta un timpano con vetrata raffigurante San Rocco tra il francescano padre Luigi e il domenicano padre Dionigi.